Vaccinazioni, tamponi e smart working
Al Presidente del Consiglio
Prof. Mario Draghi
Al Ministro per la Pubblica Amministrazione
On. Renato Brunetta
OGGETTO: vaccinazioni, tamponi e smart working.
La scrivente Segretario Generale, convintamente vaccinata fin dal maggio 2021, ha il dovere, l’onore e l’onere di rappresentare colleghi, vaccinati e non vaccinati, e chiarisce quanto segue.
VACCINAZIONI
Il vaccino, per una precisa volontà politica, non è obbligatorio per tutti i cittadini e nessuno finora (né lo Stato e neanche le aziende farmaceutiche) si è assunto la chiara responsabilità per i danni che potrebbero derivare da eventuali effetti collaterali riconducibili al vaccino. Conseguentemente i vaccinati si sono resi disponibili a fare da “cavia”, per sé, per la collettività ed anche per coloro che decidono di non vaccinarsi.
Tale premessa è essenziale per rappresentare (poco importa se condivisa) la reticenza di coloro che, ad oggi, pur non avendo alcuna patologia che gli consente l’esenzione dal vaccino, non intendono accollarsi alcun rischio per eventuali danni da vaccino e si accollano il rischio, forse maggiore sia per sé che per la collettività, di contrarre la malattia.
Ma siamo proprio sicuri che eventuali danni conseguenti alle vaccinazioni non debbano essere risarciti dallo Stato o dalle aziende produttrici?
È noto, a tal proposito, che autorevole giurisprudenza ha assimilato le vaccinazioni “obbligatorie“ alle vaccinazioni “raccomandate” in quanto “nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo, cioè la tutela della salute (anche) collettiva.
In presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire la raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli.”
Chi potrebbe pensare che il vaccino, indispensabile per ottenere il green pass, non sia fortemente raccomandato e come tale non genera responsabilità?
Sfidiamo chiunque ad affermare che lo Stato, sia pur con nobili intenzioni, non stia mettendo in condizione i cittadini di vaccinarsi.
Il Governo di fronte a questo, invece di assumere una chiara posizione di responsabilità, rimbalza sui datori di lavoro pubblici e privati l’onere di acquisire il green pass dai lavoratori senza porsi, o senza voler affrontare, il problema dell’utenza.
Cosa accade se, senza green pass:
- i contribuenti accedono negli Uffici del Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa, del Ministero dell’Economia e Finanze, dell’Agenzia delle dogane e monopoli, dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS, INAIL, ACI, e via via in tutte le Amministrazioni che sono aperte al pubblico?
- avvocati, testimoni e periti accedono nei palazzi di giustizia e nelle Commissioni Tributarie?
La risposta è nota: nulla.
È la stessa utenza, sfornita di green pass, che non può accedere nei cinema, musei, ristoranti, palestre e sono gli stessi uffici nei quali ai dipendenti viene preteso il green pass pena decurtazione dello stipendio per l’assenza ingiustificata.
TAMPONI
La scrivente non è una virologa (e neanche si atteggia ad esserlo) ma se è vero (come pare) che il vaccino non garantisce piena copertura, se è vero (come pare) che il vaccinato può infettarsi ed infettare senza sintomi, la domanda sorge spontanea: è più sicuro il vaccino o un costante controllo generalizzato con i tamponi?
Sicuramente la giusta combinazione di entrambe le misure sarebbe la migliore soluzione.
Invece il Governo ha scelto una soluzione che si ritiene divisiva ed illogica, considerato che al dipendente viene preteso il green pass e l’utenza circola liberamente senza alcun controllo.
A proposito di tamponi, siamo venuti a conoscenza, e speriamo che la notizia sia infondata, che al Ministero della Salute non viene rilasciata alcuna certificazione valida al fine del green pass ai lavoratori che si sottopongono volontariamente nei laboratori dello stesso Ministero al tampone gratuito, pur se negativo. Se fosse vero… perché effettuare i tamponi? Sarebbe uno spreco di risorse della pubblica amministrazione suscettibile di giudizio della Corte dei Conti.
LAVORO AGILE
Il D.P.C.M. del 23/09/2021 ha decretato la fine del lavoro agile come modalità ordinaria di lavoro senza attendere la fine della modalità “semplificata” prevista per il 31 dicembre 2021 e durante lo svolgimento delle trattative con l’ARAN per il rinnovo del CCNL che, tra l’altro, dovrà disciplinare anche il lavoro agile.
Il lavoro agile, come correttamente si sta normando al tavolo contrattuale, “è una delle possibili modalità di effettuazione della prestazione lavorativa per processi e attività di lavoro, previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità. Esso è finalizzato a conseguire il miglioramento dei servizi pubblici e l’innovazione organizzativa garantendo, al contempo, l’equilibrio tra vita professionale e vita lavorativa” (Cfr. proposta ARAN).
IL D.P.C.M. riporta il mondo del lavoro pubblico indietro di dieci anni e pare non voler fare tesoro dell’esperienza positiva che potrebbe rappresentare il futuro di un’Amministrazione digitalizzata e tecnologicamente all’avanguardia. Non è un caso che i datori di lavoro privati hanno compreso le potenzialità e ne stanno percorrendo la strada.
Un’esperienza che, evidentemente, va corretta ed epurata delle moltissime criticità emerse ed inevitabili per l’emergenza.
Riteniamo sia irragionevole che, nello stesso periodo, si decida contemporaneamente di mantenere lo stato d’emergenza, ripristinare la situazione ante covid e disciplinare in sede contrattuale il lavoro agile, il tutto in assenza, in moltissime Amministrazioni e per loro esclusiva responsabilità, del “Piano organizzativo del lavoro agile” (POLA) nel quale si dovrebbero definire “le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei servizi erogati…”.
Perché l’accelerazione dal 15 ottobre senza coordinare al meglio tutte le procedure in corso e la normativa in vigore? Non sarebbe stato più opportuno lasciare alle Amministrazioni la possibilità di autodeterminarsi e di gestire al meglio le attività e le risorse?
LE NOSTRE RICHIESTE
È evidente che la soluzione adottata dal Governo non può essere pienamente condivisa per tale motivo la scrivente O.S. chiede:
- il rispetto degli artt. 3 e 4 della nostra Carta Costituzionale;
- un atto politico con il quale il Governo si assume la piena responsabilità;
- un atto di giustizia che eviti discriminazioni tra il personale e l’utenza;
- una diffusa campagna di tamponi a basso costo, anche tramite laboratori pubblici;
- il coordinamento della tempistica per l’avvio del lavoro agile.
Laddove non si procedesse ad una nuova formulazione del decreto, che si chiede e si augura, si è solo ottenuta un’ ingiusta spaccatura che si ritiene nuocere all’unità del Paese ed all’incolumità della collettività.
Cordiali saluti
Segretario Generale
(Claudia Ratti)