Siamo tutti per la Pubblica Amministrazione, ma senza Stato.
Lo Stato di crisi è perenne e non è un gioco di parole ma una formula magica che, sinteticamente, sembra dare un nome alle incertezze che si aggirano ormai da un paio di decenni nel nostro mondo occidentale.
Crisi non come trasformazione, come la intendevano i greci, ma piuttosto come dissoluzione, evaporazione dello Stato. Si sta dissolvendo ormai la fiducia verso ogni tipo di ordine, preferendo la idea di “flessibilità” e “innovazione” in sostituzione “stabilità” e “continuità”. In questo ordine che sta evaporando non si pensa più a cosa fare, se non piuttosto a chi lo farà, un concetto scontato e indiscutibile fino a qualche tempo fa.
Dall’evaporazione alla dissoluzione il passo è breve. Perché la più acuta delle crisi che stiamo vivendo è quella della rappresentanza, o più precisamente della “rappresentanza come la conosciamo”, quella ereditata, messa alla prova e sperimentata dalle generazioni che l’hanno creata aspettandosi che noi ne facessimo buon uso.
Ormai è scoppiata la bolla dell’illusione della crescita perenne col drastico calo del tenore di vita, il depauperamento di interi gruppi sociali ridotti allo stato di un “precariato” senza prospettive e aggredito dalla paura di una crisi globale, come quella affrontata nel 1929 ma con una sostanziale differenza: nel 1929 le vittime del crollo della Borsa, benché spaventate dai mercati che impazzivano e bruciavano fortune insieme a posti di lavoro, non avevano dubbi riguardo le soluzioni: in uno Stato forte, dotato del potere e della capacità di fare le cose, e nella politica con la capacità di decidere quali cose andassero fatte.
Ora però lo Stato non è più quello di cent’anni fa perché non ha i mezzi né le risorse per svolgere i compiti che una vigilanza efficace sui mercati e il loro controllo richiederebbero, per non parlare di regolamentazione e di gestione. Questa parte è stata assunta da forze transnazionali che operano in uno spazio politicamente incontrollato segnato dalla competizione più aspra.
Da qui dipendono la difficoltà di gestione, l’inutilità delle manovre correttive che si susseguono per far fronte a un’emergenza senza fine. Ognuno cerca di trovare soluzioni locali (le uniche possibili) a problemi globali, mentre sarebbero necessarie soluzioni globali a problemi locali.
La soluzione è stata ricorrere a una gestione di governo di tipo indiretto, ovvero liberata di ogni responsabilità, rinviandola al singolo cittadino. Concede ampia libertà di movimento in molti ambiti, rasentando la concessione a piccoli crimini, ma delega al privato buona parte delle funzioni.
Le garanzie sociali, che fino a qualche decennio fa costituivano il nerbo dell’esistenza individuale, sono gradualmente ritirate, sminuite o svuotate di significato. La certezza del posto di lavoro è stata messa in discussione. I tagli alla spesa pubblica limitano i servizi essenziali, dal diritto all’istruzione alla sanità.
L’esigenza di una spending review, di risparmiare di fronte a una pluriennale abitudine allo spreco delle risorse di cui proprio il sistema politico è stato il primo responsabile, mette in discussione la legittimità dei diritti acquisiti e sanciti dalle leggi. Tutto è divenuto opinabile, discutibile, traballante, destinato a restare in piedi o a essere cancellato con un tratto di penna a fronte di “esigenze improcrastinabili”,”problemi di bilancio”, “adeguamento alle normative europee”.
Dietro questa filosofia dell’incertezza che imperversa a livello globale c’è il convincimento che ognuno debba provvedere per sé, senza far carico agli altri dei propri bisogni, delle proprie lacune. Prevale il principio per cui ogni azione, ogni concessione, ogni servizio deve avere il suo tornaconto, gravare su chi ne usufruisce e non essere spalmato sull’intera collettività, cui spetta solo l’obbligo di contribuire in solido al mantenimento dell’apparato statale.
E su questo amaro presupposto che si dovrebbe rivedere il concetto di rappresentanza delle Organizzazioni sindacali, con la presa di coscienza della trasformazione che sta vivendo questo nostro mondo occidentale, senza aspettare che il Tempo e la Storia seppelliscano tutto.
Segretario Generale
Francesco Prudenzano
Questa problematica è chiara da alcuni anni. Ma molti italiani non l’hanno ancora capito. Molte persone credono alla favola della crescita ed allo spettro della crisi senza capire che questi sono solo le scuse che ci vengono vergognosamente rifilate da TG e talk show. Tutto per i signori del mercato procede speditamente a scapito dei cittadini ignavi preoccupati solo di chi sia stato ad uccidere Yara oppure di quanti altri immigrati sono giunti….
È chiaro che in questa situazione disastrosa, morale prima di tutto, prevalgono sentimenti nostalgici di nazionalistici.
Ed all’orizzonte come se non bastasse, adesso, si intravedono anche scenari di guerra scaturiti da interessi propri di quella economia che dovrebbe servire l’uomo invece di distruggerlo, come sta avvenendo.
Rifaccio il verso a caio giulio cesare. Non solo pignorare le auto blu ma pignorare i beni di tutti i responsabili del dissesto economico. Penso ad un Renzi che quando un giorno ritornerà “Cincinnato” i lavoratori italiani dovrebbero denunciarlo per dissesto economico, danni erariali, complicità in sperpero di denaro pubblico e furto.
Penso ad una Fornero che per la sua famigerata e sconsiderata legge sulla riforma delle pensioni, oramai da tutti considerata un errore, che dovrebbe rispondere di fronte agli italiani di abuso di potere, incapacità, danni economici alla nazione…..
Spero ed auspico venga il giorno in cui un politico dovrà rispondere delle malefatte e degli sperperi di denaro e beni della collettività.
Penso ad un ministro dei BENI CULTURALI che con la complicità di un capo del governo sta letteralmente “svendendo” la cultura. Solo un inetto ignorante può permettersi di dire che con la cultura non si mangia; loro però ben sapendolo la stanno distruggendo o la stanno svendendo, e stanno svendendo pure i lavoratori. Quando un sindacato con i cosiddetti scenderà finalmente in piazza, non dico per una rivoluzione che non starebbe male, ora, ma almeno con uno sciopero ad oltranza per far cadere tutte queste mele marce, questi affamatori del popolo, questi ladri patentati, questi mafiosi che riescono a lucrare sulle disgrazie della gente (vedi Roma e lo scandalo degli immigrati). Si dovrebbe impiccarli in piazza e lasciarli a penzoloni ad esempio, ed invece ce li troviamo in parlamento. Si dovrebbero chiamare disonorevoli; il popolo dovrebbe compilare una lista di tutti gli onorevoli e senatori che si sono susseguiti in questi ultimi 15 anni e poi alla fine del loro mandato, quando ritorneranno piccoli mortali, andare a trovarli a casa uno ad uno………
Luigi C.
Stupendo….
La Vs. è una analisi molto seria e realistica del periodo storico che stiamo vivendo.
L’uomo ha sperimentato molte forme di governo che per quanto inizialmente siano apparse buone (perchè risolvevano i problemi del momento) sono sempre naufragate.
Il sistema attuale sta lentamente collassando e…… chissà da chi o da cosa saranno governati i ns. figli e i ns. nipoti?
Magari sceglieranno di non essere più governati da nessuno precipitando (o elevando) il pianeta in una sorta di medioevo tecnologico fatto di tante piccole comunità più o meno autosufficienti e abbandonando il denaro (che ormai non ha più nessun aggancio con l’economia reale) tornando al baratto.
Di sicuro dovranno adottare stili di vita molto diversi dai nostri.
Comunque complimenti x il post.
I problemi di bilancio sono un affare del datore di lavoro, ma a forza di strillare per la partecipazione ce lo stiamo dimenticando. Se lui non sgancia quel che deve, i lavoratori come controparti contrattuali dovrebbero far causa comune coi creditori esterni e far pignorare le autoblù