NON E’ MAI TROPPO TARDI
Si riporta il testo di questo Ufficio Consulenze Pensionistiche, emanato in data 07/06/2015, riguardo gli effetti operativi della riforma della P.A. ( D.L. 90/2014, convertita in Legge, 07/08/2015, n° 124 – G.U. 13/08/2015)
A seguito dell’approvazione del decreto legge sul pubblico impiego (D.l 101/2013) e del decreto legge sulla P.A. (D.l. 90/2014) sono cambiate le regole per la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle Pubbliche Amministrazioni. I provvedimenti in atto hanno perseguito l’obbiettivo di limitare la possibilità di proseguire il rapporto di lavoro dopo il compimento dell’età pensionabile per i lavoratori del pubblico impiego, da un lato abolendo il trattenimento in servizio, quell’istituto che consentiva di restare per un altro biennio sul posto di lavoro dopo l’età per il pensionamento; dall’altro rendendo strutturale la facoltà di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro nei confronti dei lavoratori che hanno raggiunto la massima anzianità contributiva ( 41 anni e 6 mesi per le donne e 42 anni e 6 mesi per gli uomini ), che nel 2016 aumenteranno di ulteriori 4 mesi a seguito dell’incremento alla speranza di vita ( Legge Fornero ), precisando che il limite ordinamentale, per la permanenza in servizio è di 65 anni, può essere solo superato per consentire al lavoratore di perfezionare il diritto alla pensione. Le predette regole, sono state cristallizzate dalla su richiamata Circolare 2/2015 (Madia) con la quale ha individuato i limiti e le modalità per l’esercizio del potere di collocare in pensione d’ufficio i dipendenti pubblici. Facciamo degli esempi, entrando nella specificità dei casi:
Risoluzione Obbligatoria
Le Pubbliche Amministrazioni, devono collocare in pensione d’ufficio a 65 anni (raggiungimento del limite ordinamentale per la permanenza in servizio) il lavoratore che ha a, tale età, maturato un qualsiasi diritto a pensione. I destinatari di tale innovazione sono quei lavoratori che hanno maturato i requisiti di accesso al pensionamento entro il 31 dicembre 2011 (la vecchia quota 96) e coloro che hanno raggiunto la massima anzianità contributiva con le nuove regole Fornero ( 42 anni e 6 mesi ). Diversamente il rapporto di lavoro prosegue sino all’età per la vecchiaia, ovvero sino a 66 anni e 3 mesi di età. Oltre tale data il rapporto, non può più protrarsi ad eccezione del caso in cui il lavoratore non abbia maturato i 20 anni di contributi ( requisito minimo, indispensabile per acquisire il diritto alla pensione di vecchiaia). In tale circostanza è prevista infatti la possibilità di permettere il proseguimento dell’impiego fino ai 70 anni (più l’adeguamento alla stima di vita) se tale prolungamento consente al lavoratore di perfezionare i 20 anni di contributi. Diversamente il trattenimento in parola non può essere concesso. C’è da precisare che questi vincoli non si applicano al personale il cui limite ordinamentale sia fissato a 70 anni ( magistrati, professori universitari, dirigenti dello stato, procuratori dello stato, etc )
Risoluzione Facoltativa
L’art. 1, comma 5 del decreto legge 90/2014, consente inoltre alle Amministrazioni di anticipare ulteriormente la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro rispetto a quanto sopra descritto ma solo se ciò risponda a specifiche esigenze interne dell’ente pubblico, cioè dire, trattasi di una risoluzione non obbligatoria bensì facoltativa e come tale deve essere motivata al destinatario con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta adottati. La risoluzione in tali casi può essere attivata solo nei confronti dei lavoratori che abbiano raggiunto la massima anzianità contributiva (41 e 6 mesi donne e 42 e 6 mesi uomini) e prima di agire l’amministrazione dovrà dare un preavviso di 6 mesi al lavoratore.
Alla luce di quanto sopra esplicitato, constato una palese disattenzione, finanche confusione del dettato normativo da parte delle amministrazioni centrali all’atto di applicare il neo istituto pensionistico nei confronti del proprio personale. Nei dettagli, le amministrazioni, pretendono che il dipendente sei mesi prima del raggiungimento del requisito massimo contributivo,( 41 anni e 6 mesi donne e 42 anni e 6 mesi uomini ), presentino istanza per essere collocati in pensione, quanto in effetti le su richiamate norme, sanciscono degli adempimenti obbligatori da parte delle amministrazioni( specificare le proprie esigenze organizzative) che, venendo meno, creano a mio avviso, omissione e recano danno al lavoratore, riguardo l’istituto del collocamento in pensione d’ufficio il quale, consentirebbe al lavoratore di percepire il TFS entro i 12 mesi dalla cessazione dal servizio, anziché nei 24 mesi (dimissioni volontarie). C’è da aggiungere, altresì, che tale gravame, viene segnalato nelle e-mail che mi giungono dai lavoratori iscritti e non alla nostra Federazione. All’uopo, sarebbe indispensabile, porre un quesito alla Funzione Pubblica, riguardo la problematica sopra descritta al fine di sensibilizzare le amministrazioni centrali alla corretta applicazione della innovativa norma.
“NON E’ MAI TROPPO TARDI”
Ci avevamo visto bene: L’INPS, con la Circolare 154 del 17/09/2015, recante norme sulla neo riforma della P.A. e dei sui effetti, riguardo l’erogazione del TFS/TFR, precisa che per i Dipendenti Pubblici, ai quali la P.A. risolva unilateralmente il rapporto di lavoro, per raggiungimento della massima anzianità lavorativa ( 41 anni e 6 mesi Donne e 42 anni e 6 mesi Uomini ) a prescindere dal requisito anagrafico dei 62 anni, ai sensi della riforma della P.A., Legge 90/2014 è sempre pari a 12 mesi dalla cessazione dal servizio e non 24 mesi, così come sino a pochi giorni fa sostenevano le Amministrazioni Pubbliche e le sedi INPS.
Tale diritto, permarrà in vigore sino a tutto il 2017, in quanto a partire dal 01/01/2018 il trattamento pensionistico, verrà colpito dalle riduzioni percentuali, sulla pensione, taglio dell’1-2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età di 62 anni, il termine di pagamento slitta a 24 mesi dalla data di cessazione dal servizio, questo è quanto precisato dall’INPS nella circolare 154/2015.
Alla luce di tutto ciò, sarà interesse, prioritario della Federazione INTESA F.P. mettere in campo le contromisure atte a far si che le sopra citate penalizzazioni, previste dalla Legge Fornero, non rechino più danno ai Lavoratori che andranno in pensione a partire dal 2018, sprovvisti del requisito anagrafico dei 62 anni, finanche coinvolgendo le forze politiche che sino ad oggi si sono trovate in sintonia con la nostra linea sindacale a tutela degli interessi dei Lavoratori.
IL RESPONSABILE
Rosario CRISCI
Vorrei saperechi ha dato il Via in Parlamento che quando un lavoratore gli arriva la lettera da parte dell’ amministrazione pubblica di risoluzione di contratto per aver raggiunto l’età pensionabile massima non gli danno anche la osannata liquidazione che gli spetta, quancuno mi sa dire qualcosa in più? e vero tutto questo??